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Com’è cambiato il modo di produrre negli ultimi anni e in cosa la tecnologia è stata ed è fondamentale?

“Da tempo viviamo in un’epoca di sovrapproduzione: gli attori sul mercato sono tantissimi, gli standard qualitativi crescono e i margini di guadagno diventano sempre più bassi. A questo si aggiungono poi la scarsità delle materie prime e la necessità di ridurre l’impatto sull’ambiente. In uno scenario del genere, per sopravvivere un’azienda non può sprecare risorse e la differenza tra successo e fallimento può dipendere da accorgimenti minimi. La tecnologia si basa su un approccio scientifico, finalizzato a ottimizzare ogni aspetto della produzione, abbattendo i costi e mantenendo alta la qualità. In sostanza, si tratta non solo di realizzare prodotti migliori, ma di produrre in modo sempre più efficiente”.

È questo il compito di realtà come la vostra?

“Sì. Ci occupiamo di visione artificiale e il nostro obiettivo è da sempre quello di superare il concetto di semplice selettore buono/scarto nel controllo qualità sui pezzi prodotti. A volte si tratta di tradurre le conoscenze del personale esperto in algoritmi (e quindi in software) in grado di replicarne l’operato; altre invece di andare oltre le capacità dell’occhio umano in termini di risoluzione, velocità e ripetibilità del risultato, intercettando difetti molto piccoli o addirittura fuori dallo spettro visibile. Impiegando ottiche speciali, onde polarizzate, luci ultraviolette o termocamere è possibile rilevare imperfezioni che altrimenti passerebbero inosservate. Il nostro compito quindi non si limita a stabilire se un pezzo sia conforme o meno: le informazioni raccolte ci permettono spesso di capire da cosa dipende il problema e quale punto della linea produttiva sia maggiormente responsabile. In più, analizzando i trend, possiamo anche individuare la presenza di una difformità prima che si arrivi a generare un prodotto difettoso, consentendo di intervenire in modo mirato e con manutenzione preventiva”.

Quali sono le competenze necessarie per operare in questo settore?

“Il nostro è un mestiere multidisciplinare, che ha a che fare con ottica, meccanica, fisica e informatica. Si parte ascoltando il cliente e individuando quali sono le sue esigenze reali. Da qui bisogna poi progettare la soluzione ottimale, scegliendo le tecnologie più adatte tra le migliori disponibili e trovando la configurazione più performante, in termini sia di efficacia sia di costi. Il ruolo dell’ingegnere è quello di mettere insieme le migliori tecnologie esistenti per creare una soluzione innovativa. Non si tratta tanto di inventare da zero, quanto di applicare, sperimentare e testare, senza mai smettere di fare ricerca”.

Questo per quanto riguarda la componente hardware. E il software?

“Scelti i device, rimane la parte più difficile: insegnare a un computer a svolgere il lavoro dell’uomo. Per farlo dobbiamo convertire il ragionamento umano in operazioni replicabili da un cervello elettronico, traducendo in linguaggio macchina anche l’esperienza dell’operatore. Cosa per nulla scontata, che richiede un confronto approfondito per acquisire tutte le competenze che poi dovranno essere trasferite in un algoritmo. Algoritmo che andrà successivamente perfezionato, efficientato e scritto in modo tale da poter essere all’evenienza adattato facilmente e rapidamente”.

Cosa dobbiamo aspettarci per il prossimo futuro?

“Nell’ambito dell’intelligenza artificiale, oggi si parla tanto di deep learning: in pratica non è più il programmatore che traduce e scrive il codice, ma la macchina stessa che sviluppa l’algoritmo a partire dai dati raccolti. Siamo solo agli inizi, ma stiamo parlando di un salto evolutivo enorme, del superamento della stessa intelligenza umana. Abbiamo già cominciato a fare sperimentazione e ad analizzare i risultati: anche se oggi sono ancora relativamente pochi i settori in cui queste tecniche trovano uno spazio applicativo reale, le potenzialità sono eccezionali, in qualunque campo. Ed è solo questione di tempo”.