Che cos’è la qualità, perché è così importante e come facciamo a riconoscerla? Abbiamo chiesto a Mino Dal Dosso, imprenditore, food manager e patron dei ristoranti Salamensa e Copelia.

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Dietro ogni piatto d’eccellenza c’è una storia che inizia con la scelta della materia prima: dal campo fino alla tavola, passando per la cucina, ogni dettaglio contribuisce a trasformare un ingrediente in un’esperienza memorabile.

Alle porte di Brescia, il Gruppo Dal Dosso ha fatto di questa filosofia il proprio marchio di fabbrica, dando vita a concept restaurant – da Salamensa a Copelia – che celebrano la genuinità, la stagionalità e la passione artigiana. A raccontarci come nasce la qualità autentica è Mino Dal Dosso, fondatore e Managing Director del gruppo: un uomo cresciuto tra orti e animali da cortile, dove il rispetto per la terra e la cura della materia prima erano parte della quotidianità.

Com’è nata la sua passione per la materia prima?

“È qualcosa che mi porto dentro fin da bambino, qualcosa che mi è stato trasmesso in modo quasi naturale. Sono cresciuto in una casa di campagna: avevamo l’orto, le mucche, qualche vitello, i maiali e poi galline, faraone e anatre. Un ambiente pressoché autosufficiente dal punto di vista alimentare, dove il cibo era qualcosa di vero, di tangibile, non un prodotto confezionato proveniente dal supermercato. E poi sano, privo di chimica e di ‘eccessi’ industriali. Credo sia stato proprio il contatto diretto con la natura a far nascere in me questa sensibilità, che con il tempo si è trasformata prima in passione e poi nel mio lavoro”.

Origine, prossimità, metodi produttivi: che criteri adottate nella selezione dei prodotti?

“Ho sempre fatto una ricerca pura sulla qualità, senza fissarmi su definizioni o mode. Per questo non ho mai sposato la causa del chilometro zero, per fare un esempio. Al contrario, mi piace ‘mettere il naso’ nelle aziende, andare a vedere quello che fanno i produttori e come lo fanno, per verificare che quello che raccontano sia vero e che non ci siano trucchi. Bisogna ricercare, conoscere e imparare, non c’è altro modo. È proprio uscendo dai binari di ciò che è già noto che riusciamo a stupire, puntando sempre all’eccellenza, ovviamente”

. Si parla continuamente di qualità. Che cos’è secondo lei?

“Nel mio lavoro, qualità è saper fare le cose come la natura comanda. Difficile, ma bisogna provarci sempre, senza ricorrere a scorciatoie. Un ristoratore che tiene davvero ai suoi clienti non offre prodotti scarsi ‘tanto nessuno se ne accorge’, con il solo scopo di fare margine. Al contrario, dà il proprio meglio, sempre. La difficoltà vera è far capire alle persone la differenza. È l’obiettivo delle serate Mangia & Impara, dove mettiamo a confronto con piatti diversi gli stessi ingredienti in versione ‘eccellenza’ e ‘standard’ e mostrando così l’abisso che c’è per esempio tra un tonno rosso e un pinna gialla (e svelando anche qualche trucco utilizzato da molti per nascondere la scarsa qualità di un prodotto). Questi eventi sono un esempio di come si possa educare a fare scelte più consapevoli – oltre che, per noi, uno strumento per continuare a sperimentare”.

Quanto conta il rapporto con i fornitori?

“La fiducia è essenziale per lavorare bene. Se vogliamo proporre il meglio dal punto di vista qualitativo non dobbiamo fare errori né compromessi e per questo costruire dei rapporti umani oltre che professionali con i fornitori è fondamentale, perché così facendo si va nella stessa direzione, con trasparenza e onestà”.

Siete ristoratori, ma non solo: i vostri prodotti da forno sono conosciuti e ricercati, come nel caso del panettone Salamensa.

“È stata una sfida importante e si è rivelata subito un successo perché eravamo abituati a lavorare col lievito madre tutto l’anno, non solo per le occasioni speciali. Seguiamo un processo rigorosamente naturale, ma il vero segreto è la freschezza. A produrre il panettone iniziamo a dicembre, non prima e ne facciamo una media di 500 al giorno, sfornando fino alla Vigilia di Natale e poi anche il 27 e 28 in vista del Capodanno. Così arriva in tavola freschissimo, senza bisogno di aggiungere enzimi o altri coadiuvanti. E il cliente nota la differenza, perché si scioglie in bocca ed è anche molto più leggero. Non meno importante, siamo molto attenti al packaging: anche questo deve essere un esempio di eccellenza, perché si tratta di uno strumento fondamentale per trasmettere la nostra filosofia e i nostri valori”.

Che tendenze vede nei prossimi anni nel suo settore?

“L’attenzione per le materie prime sta crescendo, sia per un fatto di sicurezza sia per una questione di gusto e varietà, quindi mi auguro che sempre di più si guardi a cosa si mette nel piatto. Poi mi piacerebbe che si diffondesse il modello dei ristoranti ‘a circuito chiuso’, dove si trasforma ciò che si produce direttamente. Spero infine che le persone diventino più consapevoli e più esigenti, che imparino a leggere meglio le etichette e a pretendere qualità vera”.

Cosa dovremmo fare tutti, come consumatori, per riscoprire il valore delle materie prime e imparare a scegliere?

“Dobbiamo andare a vedere cosa c’è dietro. Si dice spesso «se vedi come lo fanno non lo mangi più»: ecco, bisognerebbe proprio farlo, così da rendersi conto e scartare chi ti inganna. I produttori virtuosi esistono ma si perdono nel caos di un’offerta infinita, spinta da industria e grande distribuzione. Un campo di battaglia dove vince chi è più forte, più grande e chi ha più soldi per la promozione. Serve un cambio di logica e ci vogliono fatica, tempo e impegno in prima persona, senza scuse. Perché il cambiamento parte da noi”.

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