Può la tecnologia rivoluzionare il settore agricolo aiutandoci a produrre in modo più efficiente e rispettoso dell’ambiente? Il parere di Mario Sforzini, Direttore marketing di zero e di future farming initiative.

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In un’epoca segnata da sfide ambientali senza precedenti – dalla scarsità idrica al cambiamento climatico – anche un settore fortemente restio al cambiamento come l’agricoltura è chiamata a reinventarsi.

L’italiana ZERO, con il suo modello avanzato di coltivazione aeroponica, si propone di unire produttività, sostenibilità e tecnologia, offrendo una risposta efficace e innovativa alle esigenze del nostro tempo: coltivare in spazi ridotti, risparmiando acqua, accorciando la filiera e garantendo sicurezza e qualità costante. Abbiamo incontrato Mario Sforzini, Direttore Marketing della Technology Company di Pordenone e consigliere di Orto Verticale Capriolo – il sito produttivo che si avvale della tecnologia ZERO – per parlare delle sfide e delle opportunità di un paradigma produttivo capace di rivoluzionare il futuro dell’agroalimentare. E non solo.

Una technology company votata all’agricoltura. Da dove nasce l’idea di ZERO?

“L’aeroponica è una tecnologia nata negli anni ’60 nell’ambito delle sperimentazioni spaziali della Nasa e poi abbandonata. Più volte si è tentato di riprendere questa idea e di industrializzarla, ma tutti coloro che ci hanno provato hanno dovuto arrendersi di fronte al problema dei costi troppo elevati. Per la maggior parte si trattava di system integrator, che compravano componenti per realizzare impianti che alla fine avevano un costo per metro quadrato esorbitante; oggetti bellissimi, ma con spese di gestione insostenibili. Noi siamo partiti proprio da qui, dalla sostenibilità finanziaria del progetto, sviluppando in casa ogni singolo elemento, dall’hardware al software, fino alle barre a Led, eliminando tutto il superfluo. E abbiamo dimostrato che si può fare”.

Come funziona il vostro sistema?

“Layout e processo possono variare in base alla coltura, così come i device e la robotica impiegata, ma nel complesso è molto semplice. La semina avviene in automatico su dei vassoi riutilizzabili che vengono messi in un germinatoio fino alla schiusa dei semi. Successivamente, vengono posizionati in speciali carrelli dotati di tubature con ugelli che nebulizzano i nutrienti direttamente sulle radici, raccogliendo l’eccesso che viene poi ripulito, sanificato, bilanciato e rimesso in circolo. Non facciamo nulla di diverso da quello che fa Madre Natura, però senza terreno e senza rischi o stress per le piante. Il tutto è gestito dal nostro software con AI integrata che analizza costantemente i livelli di pH, luce e moltissimi altri parametri per far esprimere alla pianta il meglio nel minor tempo possibile”.

Si parla di un risparmio di acqua del 95% e oltre. Quali sono gli altri benefici?

“Si tratta di un circuito chiuso: tutta l’acqua viene ripulita e riutilizzata, e in alcuni casi riusciamo a recuperare anche l’umidità dell’ambiente. Quindi siamo ben oltre il 95% di risparmio. Altro grande vantaggio è che non consumiamo nuovo suolo, ma andiamo a recuperare aree e distretti industriali in disuso. Strutture che, tra l’altro, si trovano spesso vicino ai centri abitati, se non proprio nelle città, consentendo di accorciare la filiera, riducendo i costi di trasporto e le emissioni conseguenti. E poi c’è la shelf-life: crescendo in un ambiente protetto, il prodotto non deve essere lavato (evitando di subire forti stress meccanici) e di conseguenza dura molto di più, fino a 14 giorni, il triplo rispetto ai prodotti di quarta gamma che si trovano abitualmente nei supermercati. E ciò significa meno spreco, oltre che un vantaggio pratico ed economico per il consumatore e la grande distribuzione. Infine, voglio ricordare che il nostro sistema permette di produrre in funzione della domanda: l’impianto può essere acceso e spento anche parzialmente, e funzionare 365 giorni all’anno senza oscillazioni stagionali, garantendo qualità e prezzo costanti”.

Per quali colture si presta la vostra tecnologia?

“Ci orientiamo verso varietà ad alto valore aggiunto, per un’ovvia questione economica, ma potenzialmente non ci sono limiti. In Orto Verticale e nelle altre strutture che abbiamo progettato e costruito in giro per il mondo abbiamo sperimentato colture come il basilico, le fragole, le erbe aromatiche e l’insalata. Consideriamo però che la nostra non è una tecnologia sostitutiva, ma complementare rispetto all’agricoltura tradizionale. Infatti, stiamo realizzando delle nursery per produrre piantine di varie tipologie, come per esempio patate, pomodoro e barbatelle, che così possono germinare, radicare e raggiungere uno stadio maturo senza ammalarsi, pronte alla piantumazione”.

E guardando oltre il settore agricolo?

“È il cuore di Future Farming Initiative, l’infrastruttura di ricerca che abbiamo creato insieme all’Università Ca’ Foscari di Venezia, che punta ad attirare progetti, talenti e investimenti da tutto il mondo e che oggi conta già una rete di 15 atenei aderenti. L’obiettivo è estendere il campo di ricerca non solo all’industria del foodtech, ma anche a quella dei biomateriali, della biofarmaceutica e della fermentazione di precisione, avviando start-up tecnologiche e nuovi distretti produttivi sostenibili sul piano ambientale ed economico”.

Cosa si aspetta da questo incontro tra tecnologia e biologia?

“Vedo solo cose positive. Diciamo che abbiamo lanciato il sasso nello stagno e visto solo il primo cerchio. Stiamo appena iniziando a intuire le potenzialità: partendo da cose semplici come un’insalata abbiamo cominciato a ripensare l’agricoltura e da qui ci stiamo rapidamente spostando ad altri ambiti. Da quando l’uomo esiste non ha fatto altro che prendere quello che la natura aveva da offrire, sfruttandola e impoverendola. Oggi non è più così, perché grazie alla tecnologia siamo passati da un approccio estrattivo a uno generativo e possiamo finalmente produrre quello che ci serve senza più sottrarre risorse al pianeta, imparando dalla natura stessa”.

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