- Cosa c’è dietro un’etichetta? E quando si tratta di scegliere, possiamo davvero fidarci del nostro palato? Giulio Menegatti, buon conoscitore di vini francesi, ci accompagna in un viaggio nel mondo del vino di qualità, tra storia, cultura e psicologia.
- Nel cuore della Francia, tra colline di calcare e viti centenarie, nascono piccoli capolavori enologici che raccontano storie di territorio, di sapienza contadina e di persone che hanno scelto di mettere la propria passione nel bicchiere. GMF Srl – Grandi Marche Francesi è da molti anni il ponte tra questi tesori locali e il pubblico italiano, scegliendo solo produzioni che incarnano qualità, radici genuine e filiere cortissime.
- Quali criteri adottate nella selezione dei vini che entrano nel vostro catalogo?
- Che ruolo ha la sostenibilità in questo processo?
- Tutti noi siamo vittime di pregiudizi e bias cognitivi. In che modo influenzano la nostra percezione del vino?
- Quanto è importante saper raccontare un vino e quali strategie adottate per educare clienti e consumatori a pensare (e assaggiare) liberamente?
- C’è qualche aneddoto che le va di raccontare a riguardo?
- Cosa si sente di dire ai lettori per incoraggiarli a scoprire e apprezzare le eccellenze del vino francese?
Cosa c’è dietro un’etichetta? E quando si tratta di scegliere, possiamo davvero fidarci del nostro palato? Giulio Menegatti, buon conoscitore di vini francesi, ci accompagna in un viaggio nel mondo del vino di qualità, tra storia, cultura e psicologia.
Nel cuore della Francia, tra colline di calcare e viti centenarie, nascono piccoli capolavori enologici che raccontano storie di territorio, di sapienza contadina e di persone che hanno scelto di mettere la propria passione nel bicchiere. GMF Srl – Grandi Marche Francesi è da molti anni il ponte tra questi tesori locali e il pubblico italiano, scegliendo solo produzioni che incarnano qualità, radici genuine e filiere cortissime.
Il catalogo dell’azienda non è soltanto un compendio di etichette ma un viaggio attraverso terroir distinti, tradizioni millenarie e uomini – come Giulio Menegatti – che dedicano la loro vita a valorizzare ogni sfumatura di gusto. In un mondo in cui la velocità e i pregiudizi culturali e cognitivi possono distorcere la nostra percezione, GMF invita a fermarsi, ascoltare e scegliere con consapevolezza. Ne parliamo con il fondatore, per scoprire quali elementi incidano nella selezione delle produzioni territoriali e come storie autentiche diventino ambasciatrici di cultura, bellezza e identità.
Quali criteri adottate nella selezione dei vini che entrano nel vostro catalogo?
“Il nostro metodo si basa su tre pilastri. Primo, l’azienda deve disporre di una vigna propria, e questo è alla base del processo di selezione, per garantire autenticità. Secondo, scegliamo solo aziende con una storicità, dove possiamo scendere in cantina e testare, assaggiando, l’evoluzione del vino negli anni e quindi il suo valore. Questo perché quando un cliente acquista da noi deve avere la certezza di aver tesaurizzato bene la sua spesa. Terzo, la maison deve essere guardata con vivo interesse dalla stampa francese di settore. Prima di visitare un’azienda leggo le riviste specializzate, vado nei ristoranti della zona e apro le carte dei vini, chiedendo pareri a gestori, sommelier e clienti. È un lavoro di ricerca complesso e paziente. «Io non penso nulla. Guardo. E le prove me lo diranno». Lo diceva Maigret, e non potrei essere più d’accordo”.
Che ruolo ha la sostenibilità in questo processo?
“È il produttore il vero garante, non il legislatore. Oggi in Francia sono tantissimi i produttori attenti al tema della sostenibilità e impegnati nel minimizzare gli impatti ambientali e sociali delle loro attività; basti pensare che biologico e biodinamico sono diffusi già dagli anni ‘80 e ’90. Si tratta però di azioni ragionate per ottenere una produzione di livello ancora più elevato. Non è ambientalismo di facciata, come purtroppo vediamo in molti altri casi. In questo settore contano la storia, la vigna, la passione, l’agronomo e quindi il rispetto, per le persone e per l’ambiente. Sono queste cose a fare il vino, non un bollino o una certificazione sull’etichetta”.
Tutti noi siamo vittime di pregiudizi e bias cognitivi. In che modo influenzano la nostra percezione del vino?
“In Italia siamo abituati a dire ‘questo vino mi ricorda…’ lavorando per associazione. Vogliamo essere noi a dominare la materia, fornendo una definizione che sia ancorata a quello che già conosciamo. E questo è un esempio di distorsione che ci spinge a creare una nostra visione soggettiva della realtà. Soggettiva e sbagliata. Al contrario, dovremmo accogliere il vino come si fa con un ospite, senza pregiudizi o preconcetti, concentrandoci sui sensi e sulle emozioni che ci suscita l’incontro. Solo così si può cogliere l’identità di un vino, capirlo e apprezzarlo”.
Quanto è importante saper raccontare un vino e quali strategie adottate per educare clienti e consumatori a pensare (e assaggiare) liberamente?
“Teniamo regolarmente corsi rivolti agli agenti di vendita – allo Château Batailley di Bordeaux, allo Château de Chamirey in Borgogna e presso l’Abbazia di Praglia sui Colli Euganei – per diffondere cultura nel nostro settore, perché accanto alla borsa delle provvigioni bisogna mettere quella del sapere. Organizziamo anche serate dedicate nei ristoranti, dove oltre a far assaggiare le nostre etichette cerchiamo di educare, di dare informazioni senza mai pontificare, per aiutare le persone a essere indipendenti nel giudizio. Il vino va ‘de-liturgizzato’: dobbiamo portarlo fuori dal tabernacolo e renderlo un lusso democratico, perché tutti, consapevolmente, possono trovare un vino adatto ai propri gusti e alle proprie capacità di spesa”.
C’è qualche aneddoto che le va di raccontare a riguardo?
“Poco tempo fa ero a Bergamo per un evento in un golf club. Di fronte a me una sessantina di persone, tra cui industriali, finanzieri, banchieri e imprenditori. Avrei potuto snocciolare tutti i pregi del Bordeaux, delle tradizioni della Loira, dei metodi produttivi, ma pochi, forse nessuno avrebbe colto il messaggio. Così ho raccontato una storia legata a un personaggio che tutti a Bergamo conoscono. Gino Veronelli, uno dei padri della valorizzazione e divulgazione del patrimonio enogastronomico italiano. Una sera, Veronelli era a casa per rilasciare un’intervista. Il giornalista decide di provocarlo e chiede: «Ma i francesi, sono solo bravi a vendere o anche a produrre?» Veronelli sorride e dopo una piccola pausa ribatte: «Il vino francese nasce ricco per i ricchi a metà dell’Ottocento e si dota subito di una legislazione perfetta. In Italia cominciamo a scoprire il vino in bottiglia solo con il boom economico. La prima etichetta diffusa a livello nazionale è datata 1972. Più di 100 anni dopo». Senza spiegare, dice tutto. E questo non deve suscitare invidia, ma curiosità, voglia di conoscere e di provare”.
Cosa si sente di dire ai lettori per incoraggiarli a scoprire e apprezzare le eccellenze del vino francese?
“Dico di lasciarsi sedurre dal dubbio. Ci sono tanti bravi vigneron, ma non pensiate che un click o un post su Instagram possano restituirvi il vissuto di un vino. L’unico modo per saperlo è stappare la bottiglia e assaggiare”.

