Qual è il modo migliore di affrontare la transizione?
“Premetto che una procedura precisa non esiste. Tutto dipende dalle caratteristiche dell’azienda e delle persone interessate, oltre che dal loro carattere. Di certo, bisogna prendere la cosa seriamente, gestire ogni aspetto con responsabilità e soprattutto non avere fretta. Noi abbiamo iniziato nel 2012 e prevedo che ci vorranno ancora alcuni anni. Ma fissare una data sarebbe un errore: il passaggio generazionale è un percorso che si deve compiere in modo naturale. Quando ci sentiremo pronti sarà arrivato il momento”.
Lei è entrato in Gamm negli anni ’80, quindi ha già vissuto un passaggio generazionale, anche se a ruoli invertiti.
“Sì, ed è proprio per questo che voglio fare tesoro di quanto appreso allora, anche degli errori. Fin da quando mio figlio Giorgio e mia nipote Giulia (figlia di Patrizia, mia cugina) sono entrati in Gamm abbiamo iniziato a coinvolgerli gradualmente e dal basso. Giorgio, per esempio, ha iniziato prima in produzione, poi in magazzino. Per gestire un’azienda è necessario conoscerla reparto per reparto, metro per metro e capire a fondo il funzionamento di ogni sua minima parte. E questo non si impara in nessun master universitario, ma sul campo, con pazienza e umiltà”.
Insomma, la guida dell’azienda è qualcosa che ci si deve guadagnare giorno per giorno.
“Essere figlio o parente del titolare non dà diritto a ereditare il suo ruolo. Non è un fatto di severità, ma di responsabilità. Da un lato, servono le competenze adeguate, dall’altro la capacità e l’esperienza necessarie per gestire un’impresa. E questo non è scontato: bisogna dimostrare di essere all’altezza, tecnicamente e moralmente. Dobbiamo farlo per assicurare un futuro all’azienda e a tutti coloro che lavorano per noi e che da noi dipendono, anche economicamente. Con mio figlio non esistono trattamenti privilegiati. Anzi, da lui pretendo di più. E lui lo sa”.
Lavorare coi famigliari può portare anche a dei conflitti. Quando questo accade, come vanno gestiti?
“I conflitti fanno parte del confronto, quindi se non ci fossero ci sarebbe da preoccuparsi. Non possiamo aspettarci di essere sempre d’accordo. È proprio mettendo sul tavolo idee diverse che si può crescere, perché si condividono punti di vista differenti. Il rischio più grande per chi lascia il testimone è di non voler ascoltare le idee dei giovani. Un po’ come voler negare il tempo che passa. Dall’altro lato, chi raccoglie il testimone ha il compito di capire il valore dell’esperienza e di impiegare al meglio le risorse che trova, adattandole ai nuovi scenari. Il passaggio generazionale non è altro che uno scambio: serve trovare il giusto equilibrio tra vecchio e nuovo, tra passato e futuro. Noi ‘vecchi’ possiamo solo dare l’esempio e indicare la via, ma sono i giovani quelli che andranno avanti, con le loro idee e le loro scelte”.
Qual è dunque la priorità?
“Passando di mano, l’azienda si rinnova, con menti fresche, più aperte, in grado di interpretare i cambiamenti della società e del mercato e di reagire con prontezza, puntando sull’innovazione, sulla tecnologia e sulla versatilità, fattori strategici ormai indispensabili nel nostro mestiere. Al centro di tutto però c’è sempre l’amore per l’azienda. È solo trasmettendo questo amore, insieme a una visione precisa, che possiamo riuscire a trasferire la gestione da una generazione all’altra. Essere imprenditori non è solo un lavoro, ma una scelta di vita e l’azienda è parte integrante della famiglia, dipendenti, collaboratori e partner compresi. Servono spiccate doti umane, rispetto, sensibilità, generosità e capacità di entrare in sintonia con gli altri. E nel lavoro, come nella vita, è proprio questo ciò che conta veramente”.