Intervista a Stefano Bevilacqua, Export Manager di Seventyseven
Cosa significa esportare prodotti di stampa all’estero? Perché i distributori scelgono di lavorare con una tipografia italiana? Quali sono i prodotti più richiesti e perché?
Abbiamo fatto una bella chiacchierata con Stefano Bevilacqua, nostro Export Manager per i mercati statunitense e francese.
Quando e come nasce il tuo rapporto lavorativo con aziende estere per il commercio di cartoline e calendari illustrati? Raccontaci un po’ la tua storia
“La storia parte abbastanza da lontano, più precisamente con mio padre che nei primi anni Sessanta lavorava come fotografo e aveva iniziato a produrre e vendere diapositive dalle sue fotografie.
Forte dell’esperienza nel settore, nel 77 acquisì un’azienda di stampa a Valdagno ed ebbe l’intuizione di contattare i clienti ai quali aveva venduto le diapositive proponendo loro le cartoline, che in quel momento cominciavano a entrare nel mercato turistico grazie allo sviluppo della stampa offset. La vocazione era verso l’estero, vista la concorrenza molto forte in Italia. In particolare mio padre riuscì a sviluppare molto bene il mercato francese.
Io iniziai a lavorare in azienda con lui nell’86, subito dopo la maturità, e dall’88 in poi cominciai a visitare i clienti. Negli anni 90 iniziammo a contattare e a lavorare con alcune aziende negli Stati Uniti e la cosa prese via via sempre più piede. Negli anni riuscimmo ad espanderci anche in altri mercati, come Nord Europa, Austria e Germania.
Purtroppo nel 2009 l’azienda di mio padre per vari motivi chiuse. Io per due anni continuai l’attività con un’altra azienda, fino a quando anche questa fu chiusa.
Nonostante tutte queste peripezie e nonostante il drastico calo dei volumi nel mercato della stampa, negli anni sono riuscito a mantenere i rapporti con i miei clienti, che mi hanno sempre seguito. Alcuni clienti che avevo sono giunti oggi alla terza generazione e lavorano tuttora con me, anche se con volumi totalmente diversi.”
Dove si concentra oggi la tua attività di export di calendari illustrati e cartoline?
“Francia e Stati Uniti sono le aree che la fanno da padrone.
Negli USA, in particolare, lavoriamo tantissimo con il New England (80% del fatturato), ovvero tutta l’area a nord di New York: Boston, New Hampshire, Vermont, Maine e adesso anche il Connecticut. Poi abbiamo clienti a Miami, nel Michigan, in California (coprendo l’area di Las Vegas), in Colorado e in Virginia.
Il nostro cliente tipico è il distributore, cioè colui che compra e poi vende ai negozi. Negli Stati Uniti c’è una realtà fatta di piccoli distributori che sono limitati ad uno Stato o a parte di uno Stato, e poi esistono grandi realtà che coprono anche 25-30 Stati. Queste ultime non lavorano con noi perché, visti i volumi, acquistano direttamente dalla Cina, dalla Corea del Nord o da Singapore.
Per quanto riguarda la Francia, invece, siamo attivi in tutta la Nazione, con una grossa concentrazione in Provenza, a Lourdes e nel nord della Francia (Normandia e paesi della Loira).”
Perché i distributori esteri, secondo te, preferiscono affidarsi ad un partner italiano anziché a un fornitore connazionale?
“Allo stato attuale delle cose, occorre innanzitutto precisare che siamo rimasti in pochi a fare questo lavoro e, se vogliamo parlare di un prodotto turistico standard come la cartolina, le aziende che producono cartoline sono veramente poche, sia in Europa sia negli Stati Uniti.
Credo però che negli anni il motivo principale che ha fatto scegliere l’Italia sia innanzitutto la qualità: in Italia stampiamo bene.
Il mercato della stampa negli Stati Uniti ha infatti un problema fondamentale: è caratterizzato da un alto livello di tecnologia ma manca la specializzazione, la formazione del personale.
Senz’altro ci sono buoni stampatori anche in Francia, ma negli anni hanno scelto noi perché davamo un servizio migliore.
Ciò che ci contraddistingue è la capacità di risolvere i problemi e la facilità di lavorare insieme perché parliamo la stessa lingua (non intesa come idioma, ma come capacità di comprendere l’esigenza e di fornire una soluzione). Per loro non è una questione di prezzo, sono disposti a spendere anche di più (consideriamo i costi delle spedizioni internazionali), ma affidandosi a noi sanno che non devono più pensare a nulla. Il vantaggio poi di avere collaborazioni di lunga data è che ormai sappiamo cosa vogliono e come lo vogliono.
Un altro aspetto fondamentale è il rispetto delle tempistiche. Quando distribuiamo negli Stati Uniti, alle 4/5 settimane canoniche per l’evasione dell’ordine, dobbiamo considerare dalle 4 alle 6 settimane di trasporto, a seconda che si tratti della costa Est o della costa Ovest, oltre ai tempi di dogana e inoltro. Dobbiamo poi pensare che il calendario viene venduto come un prodotto turistico e negli Stati Uniti l’inizio della stagione è il Memorial weekend: a maggio nei negozi devono quindi esserci i calendari dell’anno successivo. Per questo è fondamentale riuscire ad arrivare nei tempi giusti, altrimenti i calendari vengono buttati.
Infine, nel momento in cui ti confronti con realtà estere, ti rendi conto che noi italiani abbiamo un modo di approcciare il lavoro che è caratterizzato da una grande cura nel rapporto con il cliente. Si tratta di un aspetto che probabilmente è parte della nostra cultura e, nel momento in cui trovi il cliente che ne coglie il valore, è difficile perderlo.”
Perché hai trovato in Seventyseven l’azienda più adatta per soddisfare le richieste del mercato estero nei prodotti di stampa?
“Perché c’è bisogno di un rapporto diretto non solo tra me e i clienti, ma anche tra me e l’azienda che ho alle spalle. Seventyseven, considerando ciò che fa nell’ambito sia della stampa sia della comunicazione, è una realtà abituata a gestire ogni giorno complessità di vario genere. Dopo tanti anni di esperienza adesso so che la dimensione giusta è questa: non troppo piccola, quindi in grado di soddisfare le richieste, e non troppo grande, quindi capace di seguire il cliente e di gestire le complessità in maniera diretta.
Sicuramente, avendo lavorato con Stefano Cadei per tanti anni, sapevo che qui c’era una certa impronta. Poi ho conosciuto Remo, Mauro, Nicola e Mattia e ho capito che era la strada giusta. Qui ho trovato gente seria e concreta nel modo di affrontare il lavoro: sembra una banalità ma non è né semplice né scontato. Inoltre in Seventyseven ho visto possibilità di sviluppo in altre direzioni: c’è una mentalità di apertura verso qualcosa di nuovo e di diverso.
Infine, dal punto di vista personale, cercavo uno spirito un po’ diverso. Qua c’è rapporto e considerazione. È un’azienda che conta su quello che fai e credo che sentirsi gratificati faccia sempre bene. Insomma, nonostante siano cambiati i tempi, ho ritrovato lo spirito che c’era quando lavoravo nell’azienda di mio padre.”
Quanto è complesso gestire commercialmente i rapporti con aziende così lontane per garantire loro il miglior servizio?
“Sicuramente la complessità è riuscire ad essere sempre vicini ai clienti, nonostante la distanza geografica.
Forse a volte abbiamo la tendenza a pensare che, visto che i clienti sono lontani, anche i problemi siano lontani, ma non è così. La difficoltà sta anche nel riuscire a capire ciò che sta succedendo, ma questo di base vale anche per i clienti più vicini.
Personalmente, per come sono fatto io, ciò che più mi dispiace è il fatto di non poterli andare a trovare spesso. A me piace il rapporto diretto con il cliente, il fatto di sedersi e chiacchierare, perché salta sempre fuori qualcosa di interessante. All’estero questa mancanza è fisiologica, ma loro non pretendono nemmeno il contrario. Chiaramente un limite può essere anche la lingua, che però io fortunatamente parlo.
Ovviamente, non c’è bisogno di dirlo, la comunicazione con il cliente oggi è molto più semplice grazie a tutti i mezzi tecnologici che abbiamo. È stato più difficile negli anni costruire il rapporto, prima che ci fosse questa digitalizzazione. Ricordo ancora la tensione e l’ansia nel gestire le prime telefonate con i clienti americani, oppure quando organizzavamo le fiere all’estero e mio padre non parlava inglese.
In generale, sono fermamente convinto che i rapporti vadano tenuti e che non vadano mai chiuse le porte, a meno che non sussistano problematiche gravi, perché le cose cambiano sempre e, nel momento in cui il cliente ha bisogno o ha un problema, sa che può contare su di noi.”
Che valore hanno, secondo te, nel 2023 prodotti cartacei come questi e qual è la richiesta sul mercato?
“I calendari sono ancora molto importanti negli Stati Uniti, nonostante le quantità siano negli anni molto diminuite. Quando si parla di turismo si parla di souvenir, di ricordi: compri il calendario non perché hai bisogno di sapere che giorno è, ma lo appendi al muro e vedi fotografie bellissime. Anche se poi magari gli appuntamenti li segni sullo smartphone, il colpo d’occhio è molto più forte su qualcosa di grande e di visivo.
Per quanto riguarda le cartoline, invece, a livello di numeri c’è un piccolo ritorno. Ma nonostante tutto la cartolina rappresenta ancora un ricordo per chi la compra. Su dieci cartoline acquistate, oggi forse ne vengono spedite tre, le altre vengono conservate o regalate, perché comunque raffigurano fotografie che non tutti possono fare, per via delle attrezzature, delle angolature, delle condizioni meteorologiche ecc.
Il declino, negli anni, di calendari e cartoline è stato dovuto sicuramente ai prodotti digitali, cioè fondamentalmente al cellulare. Però credo che oggi abbiamo raggiunto una certa saturazione e che ci sia una sorta di ritorno ad apprezzare le cose materiali, senza dover sempre guardare uno schermo.”
Come credi che si evolverà il mercato dei prodotti di stampa nel settore turistico in futuro?
“Il futuro delle cartoline? Se la situazione rimane così va bene. Non credo che possa aumentare, perché non credo che neanche vi siano le condizioni. L’unica cosa che possiamo fare adesso è essere molto solidi nel servizio: se iniziamo a fare male ciò che facciamo, uccidiamo il mercato.
Ciò che oggi secondo me manca a livello di prodotti turistici sono i libri e le guide. È vero che su internet trovi tutto, ma cercare qualcosa sullo smartphone quando sei in un luogo, magari in un museo, può essere complicato: non c’è batteria, non c’è campo, non trovi ciò che cerchi o, se lo trovi, hai mille scelte e non sai quale guardare.
Personalmente trovo che sia un peccato, perché stiamo perdendo una modalità molto più facile e lineare di visitare i luoghi, piantina e guida alla mano.”